domenica 15 dicembre 2013

Una settimana alla volta



Mio nonno Neri contadino, votava comunista, come sua figlia Piera, mia madre e  come  i miei zii materni.
Tutti a far bomboloni alle feste dell'Unità.
Neri teorizzava che i poveri, non potevano votare che in alto a sinistra. Dove nella scheda elettorale, allora, potevi trovate il simbolo con falce e martello.
Mio padre Romeo ha fatto tutta la vita il barbiere; fino a un certo punto ha votato socialista. Mi ha sempre detto che l’invasione "comunista" dell’Ungheria l’aveva segnato. Come non dargli torto oggi. Poi  dopo le dimissioni di Riccardo Lombardi dalla presidenza del partito, in polemica con Craxi del Midas (e i più vecchi sanno di cosa parlo), si disamorò e da lì cominciò l'era Berlinguer. Mio padre era per le idee e gli uomini che le traducevano in azione; in un un partito si sentiva stretto.
Anche il padre di Romeo, l'altro nonno, operaio della Piaggio che ho conosciuto poco, ha sempre votato socialista. 
La mia educazione sentimentale e politica si sviluppa dentro questa salsa social-comunista.
Da adolescente "infuocato" i socialisti, li consideravo grossolanamente, spalla della Democrazia Cristiana e miei avverasri di classe.
I Comunisti invece mi intrigavano, eccome. Per la storia e soprattutto perchè li ritenevo in modo fazioso, gli unici artefici della Resistenza: Erano comunque per me, lenti e macchinosi. Bravi, e mio nonno materno ne era l'esempio, ma “pallosi”. I Ciglioni, li chiamavo (ammiccando alle ciglia folte di Leonid Breznev). Mi teneva sul chi vive la forzata severità che mettevano in tutto quello che facevano.Mi pareva che non ridessero mai. E poi il centralismo democratico non mi attreaeva.Non era facile per nessuno a quel tempo dirmi - "si fa così perchè l'ha decido il partito!". Ero troppo anarcoide per accettare quelle regole. E poi a me interessava la lotta per la giustizia sociale "subito, qui e ora".
Aveva ragione Buino, il mitico segretario del Pci di Molina quando  mi diceva con affetto, che uno come me a Mosca avrebbe avuto una vita difficile. Ed io rispondevo che stavo bene a Molina di Quosa dove urlavo quanto mi pareva e i comunisti mi facevano cantare Primavera di Praga di Guccini alla festa dell'Unità.
Diventai un estremista , come si diceva un tempo.Per induzione. Mi sentivo comunista ma difendevo l'essere libero, lontano dal potere.Vita dura, in un Comune rosso fuoco, dove chiamarsi Ivan era normale e il Pci contava a quei tempi in consiglio comunale, anche venti consiglieri su trenta. Tutto.
Scelsi Lotta Continua, la incontrai sui banchi di scuola. Spontaneismo e battaglia. Senza sosta sempre nelle lotte. Sangue bollente e gli ultimi nel cuore. Antifascismo militante e  adrenalina a mille. "Piccoli grandi amori" e grandi amicizie,che ancora oggi dopo quarant’anni resistono, a partire da Cipillone, allora capo del servizio d'ordine degli studenti medi di LC; il più potente della città
Mio padre apprese che ero un extraparlamentare, come si usava dire allora, da una foto mostratagli in bottega, dall’appuntato dei carabinieri. Ero a una manifestazione in lungarno a Pisa. Si lasciò sfuggire con mia madre, mentre urlava arrabbiato per quella mia scelta, che ero bellissimo mentre urlavo col pugno chiuso alzato.Lei me lo ridisse abbracciandomi, consigliandomi di fare ammodo.
 Il furore era al massimo e nessuno mi poteva fermare. Avevo 17 anni, era il maggio del 1975.
 Lotta continua chiuse i battenti nel 1976 a Rimini -“Né ridere, né piangere, ma capire”- ci disse il Sofri dal palco. Ma io nonostante il consiglio del Capo con la C maiuscola, piansi lo stesso. Ero diventato maggiorenne da poco, non avevo mai votato e mi trovai col lutto al braccio.
Orfano di un sogno.
Parti il treno del Movimento. Su e giù per i vagoni; come homeless
Lotte e battaglie. Assemblee,  amori e scoramenti. Entusiasmi. Università col contagocce.
Manifestazioni a Roma di continuo, Bologna e i carri armati,; gli indiani metropolitani; Lama non lama nessuno.
Poi, un giorno, a Roma vidi per la prima volta le P38, e quelli dell’Autonomia Operaia e sulla strada del ritorno ci ripensai e non mi piacquero. Io ero anni luce lontano da quei metodi e il solo pensarmeli in una stessa manifestazione armati, mi indusse a starmene a casa.
Feci allora  un passaggio in uno di quei piccoli partiti che affollavano la sinistra di allora candidandomi giovanissimo al comune senza successo, poi sempre in quel periodo, incontrai i movimenti per la Pace  e presto cominciai con piacere a stare di più a casa mia. Frequentavo la sezione del Pci locale, che aveva dei dirigenti, che ce ne vorrebbe uno per famiglia Non aderii al partito però lo frequentavo stretto; parlavo con loro come dei padri e mi sentivo bene.
Al Pci, in sezione, c’era un tavolo da pingpong  e si potevano leggere libri e giornali.  Ci salvammo: io sicuramente salvai il culo. Nel buio pesto in cui si ficcò l’estremismo, quando arrivarono le Br e il rapimento Moro e appunto le P38 e l 'Autonomia, la meravigliosa provincia e i suoi luoghi a me cari, le sezioni aperte ai giovani, le case del popolo, i bar col biliardo, furono un toccasana allettante; e anche se prendevamo qualche scappellotto dai rigorosi compagni comunisti del Pci, ci sentivamo come figli rimproverati per il nostro bene. Ci ritrovammo lì,  a sognare ancora  la Rivoluzione, nessuno ce lo impediva, ma al riparo da rischi. Che altri, lasciati in giro, corsero e subirono. Quanti ne ricordo ancora.
Poi in seguito lavorai con piacere in una associazione che si occupava di diritti dei bambini e delle bambine. L’Arciragazzi  e l’ARCI. E quella fu la mia nuova militanza a tempo piano e luogo di amicizie mai perdute.
Quando nel 1989 il Pci in pompa magna mi offrì di candidarmi al mio comune per fare l’assessore alla cultura, mi sembrò un onore tanto grande che rimasi stupito ma molto  lusingato. Accettai e lo dissi subito a mio padre che si inorgoglì. Mai avrebbe pensato che avrei messo testa a posto fino a diventare un uomo delle istituzioni e perfino con una moglie.Perchè in tutto questo bailamme avevo sposato il mio grande amore, Giovanna.
Mi candidavo  indipendente, col grande Partito Comunista. Avevo ormai 32 anni. Il vecchio segretario della sezione del Pci di Molina che aveva caldeggiato la mia candidatura mi disse- Bravo. Lo sapevo che questa era casa tua. Farai contenti tutti i compagni anziani.-
Mio nonno Neri invece quando glielo dissi, fu ruvido.- Ora bisogna crescere e non fare cazzate. Quando si amministra bisogna dare l’esempio, essere meglio degli altri.-
Non avevo ancora detto sì, che Occhetto alla Bolognina sfece il Pci.
Ce la feci  però a candidarmi e ad essere eletto col simbolo della "falce e martello", perché le liste erano ormai quelle, ma già eravamo Pds.
A maggio 1990 ero l’assessore "comunista"  alla cultura. Così si continuò a dire per un po’. Almeno io lo dicevo con onore."Essere organici al popolo" era la mia ossessione. Gramsci e la connessione sentimentale. Quante parole nella stanzina di Amos a San Giuliano e che passione.
Gli anni che seguirono ci consegnarono il terremoto di mani pulite, dal quale spuntò Berlusconi.
Ma anche una bella notizia, la nascita di mia figlia Adele, oggi ormai, ragazza nel mondo.
Intanto "imparavo" a fare l'amministratore "di casa mia".
Alle elezioni del 1994, diventai anche responsabile politico dei Progressisti contro Forza Italia appunto.
A San Giuliano prendemmo molti voti, ma Berlusca si prese l’Italia.
Per meriti acquisiti sul campo, nel 1995 con l’elezione diretta dei Sindaci, la sinistra di San Giuliano, divisa da Occhetto, scelse me per ricompattarsi; diventai Sindaco delle mie terre. Un impegno grande, grandissimo.
Una responsabilità senza limiti. Così la sentivo addosso.
Ho ancora in mente il 25 aprile del 1995, non avevo ancora compiuto 37 anni,quando eletto da 24 ore, salii sul palco dell'Agrifiera per commemorare il grande Uliano Martini, un partigiano del luogo che aveva fatto anche l’amministratore, al quale in seguito ho intitolato la biblioteca comunale; un boato mi accolse. E le Braccia alzate e il saluto unanime, mi fecero capire d’un colpo la responsabilità verso quel popolo che così, mi firmava un assegno in bianco d’affetto e fiducia.
Giurai a me stesso che anche se avevo vinto con quasi il  70%,  non bastava. Bisognava vincere nel cuore della  gente. Ripagarli. Farli sentire una comunità forte e solidale, in un momento difficile.
Ho lavorato sempre e solo per questo, pur non convincendo tutti ci mancherebbe, ma sentendo la maggior parte "del popolo", come mi piace dire, con me.
Nove anni dopo, alla fine dell'esperienza, quando ancora non si sapeva se i Sindaci potevano fare il terzo mandato, nel sentirmi riproporre, seppur informalmete (se fanno la legge ti ritocca) dal mio partito,di ricandidarmi per la terza volta, capii che quei cuori erano miei. Che mi "rivolevano". Il terzo mandato non ci fu ( sono sempre stato contrario) ed io mi salvai da una fatica che non reggevo più. Avevo fatto il Sindaco dando tutto me stesso e questo mi aveva appagato ma anche sfinito. Essere il primo cittadino delle terre dove sei nato, è una soddisfazione che bisogna provarla per capire e viverla per misurarne la fatica.
Oggi dopo dieci anni e altre esperienze politiche (la nascita del Pd anche a Sgt non è stata neutra), questi luoghi, dove un tempo si ragionava solo in termini di bene collettivo, hanno subito come molti altri il degrado che sta schiantando l'Italia. Il berlusconismo ha colpito duro anche da noi. Ecco perchè, insieme, superando inutili differenze, abbiamo il dovere politico di ricostruire la cultura della Sinistra, oggi lacerata, anche nella mitica rossa San Giuliano Terme. E alla svelta, il tempo in questo caso, ha molta fretta.
Proviamo quindi a  ripartire. A costruire un sogno che tenga insieme giustizia sociale e bellezza
Ripartendo dagli ultimi, come avrebbe detto mio nonno Neri, contadino,comunista della "genìa" di quelli che "votavano in altro a sinistra". E cos'altro sennò!

Buon futuro e auguri
g