martedì 20 novembre 2012

Alberto Vannucci

La corruzione inquina la democrazia, delegittima le istituzioni e cancella la fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti.

Intervista al prof. Alberto Vannucci, autore del libro “Atlante della corruzione”




 
La corruzione è un fenomeno complesso da analizzare e ha dei costi economici e sociali elevati che, sovente, sfuggono ai cittadini. Per capirne di più e meglio di questo fenomeno, Avviso Pubblico ha intervistato Alberto Vannucci, docente dell’Università di Pisa, ideatore e direttore del Master in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione che, recentemente, ha scritto un libro intitolato “Atlante della corruzione” (Edizioni Gruppo Abele).

Prof. Vannucci può illustrarci brevemente i contenuti del libro e dirci perché ha deciso di scriverlo?

La corruzione è un fenomeno difficile da analizzare perché per sua natura tende a restare nell’ombra. Lo scopo dell’Atlante della corruzione è quello di fornire alcune coordinate di analisi che servano da guida per comprendere, analizzare, e intervenire su questa realtà oscura. Capire di che cosa parliamo quando utilizziamo il termine corruzione, quali sono i protagonisti di queste reti di scambio occulto, quanto è diffusa e quali sono le cause e i meccanismi di riproduzione, quali effetti produce sul sistema politico e sociale, e naturalmente anche di quali strategie e strumenti disponiamo per contrastarla. Si tratta di un lavoro con il quale cerco di rendere i risultati della ricerca scientifica accessibili a tutti i lettori sensibili a queste tematiche, nell’idea che una migliore conoscenza può fornirci anche speranze e strumenti più efficaci di cambiamento.

La corruzione ha dei costi economici e sociali che sovente sfuggono ai cittadini. Può elencarcene i principali?

I 60 miliardi di euro annui calcolati dalla Corte dei conti sono utili a darci l’ordine di grandezza della corruzione, ma le modalità di calcolo sono approssimative. Viene applicata una percentuale del 3 per cento del Pil italiano, formula che – secondo la Banca Mondiale – quantifica il costo della corruzione nel mondo, che invece va ben oltre questa dimensione monetaria. La corruzione degrada ogni tipo di servizio fornito alla collettività, anche quelli fondamentali per la salute e la qualità della vita. Per questa via produce costi non quantificabili economicamente, altri diluiti nel tempo. La corruzione diffusa inquina la stessa democrazia, perché premia i politici peggiori, delegittima le istituzioni e cancella la fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti, anche quelli onesti.

Recentemente in Italia è stato approvato un nuovo provvedimento legislativo in materia di lotta alla corruzione. Come giudica la nuova normativa?

Il dato positivo è che la classe politica in apparenza si fa carico di una questione centrale per il nostro paese, peccato che ad approvarla sia chiamato un Parlamento dove siedono un centinaio di inquisiti o pregiudicati per quei reati. Un paio di indizi che di per sé dovrebbero alimentare qualche diffidenza. Una lettura attenta del testo aumenta le perplessità. Le pene per i nuovi reati di corruzione privata e traffico di influenze illecite sono così esigue da impedire l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche, con tempi di prescrizione inferiori alla durata media dei procedimenti penali. Addirittura è stato “spacchettato” il reato di concussione. Nella stragrande maggioranza dei casi, tra cui incidentalmente quelli che interessano Berlusconi e l’esponente ex-Pd Penati, si applicherà un nuovo reato di “corruzione per induzione”, per il quale la pena prevista – così come i tempi di prescrizione – si ridurranno sensibilmente. Il rischio è quello di una vera e propria amnistia mascherata, visto che la principale ragione di inefficacia del contrasto della corruzione è proprio la prescrizione. In definitiva, per quel che vale il mio giudizio, è fortemente negativo: la legge anticorruzione è un’occasione persa (Legge 6 novembre 2012, n. 190).

A livello internazionale quali esperienze e quali paesi lItalia potrebbe prendere come modello per unefficace opera di prevenzione e di contrasto alla corruzione?

La propensione alla corruzione non è iscritta nel patrimonio genetico di un popolo. Le tangenti erano di casa in Svezia e in altri paesi nordeuropei fino agli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, proprio come oggi in Italia. Lo stesso a Hong Kong e Singapore, fino agli anni ’70 del ‘900. Oggi questi paesi sono ai vertici delle classifiche sull’integrità semplicemente perché sono state approvate riforme incisive, applicate con rigore. Grazie a buone leggi, in quei paesi sono cambiati i modelli culturali che spingono all’onestà i funzionari e i cittadini. Un altro caso interessante è quello della Georgia, tra i paesi più corrotti del mondo fino a un decennio fa che in pochi anni ha superato l’Italia per livelli di trasparenza e integrità dei funzionari pubblici. Si tratta di esperienze diverse, caratterizzate dalla presenza di un’elite politica disposta a investire seriamente risorse di credibilità in una battaglia non sempre popolare. Condizione che, dispiace dirlo, non si è finora verificata in Italia.

Nel suo libro Lei cita anche degli esempi positivi di prevenzione e di contrasto alla corruzione. Può descrivercene qualcuno?

Senza aspettare l’intervento del legislatore, forse è il momento di pensare a politiche e strumenti di prevenzione e contrasto della corruzione costruiti e attuati “dal basso”, a “buone pratiche” da condividere valorizzando gli esempi positivi. Penso alle campagne di Avviso Pubblico e Libera, che hanno portato alla raccolta di milioni di firme per una seria legge anticorruzione o all’associazione SignoriRossi che offre servizi di consulenza legale gratuita a chi ha bisogno di aiuto di fronte a una realtà insinuante come quella della corruzione. Sul versante della formazione c’è il Master universitario in Analisi, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, che organizziamo a Pisa insieme a Libera e Avviso pubblico. E poi naturalmente c’è la Carta di Pisa, il codice etico-comportamentale di Avviso Pubblico, già adottato da diversi amministratori e diverse amministrazioni locali.

Lei ha coordinato il gruppo di lavoro che ha redatto la Carta di Pisa. Cosa distingue questo strumento da altri simili?

La Carta ha precorso i tempi. Alcuni dei suoi punti significativi sono stati ripresi da recenti interventi legislativi, purtroppo meno chiari ed efficaci delle disposizioni del codice etico. Gli elementi qualificanti sono diversi. Le disposizioni ricoprono tutti gli aspetti più significativi della vita amministrativa degli enti locali dettando regole di condotta che rendono più trasparente e “rendicontabile” l’esercizio del potere pubblico. Inoltre la Carta incoraggia l’attivarsi di circuiti di partecipazione e coinvolgimento nell’attività amministrativa di cittadini, ai quali vengono forniti strumenti di controllo e meccanismi concreti per esigere il rispetto delle regole di “buona politica” contenute nel codice etico. In pratica gli amministratori che lo sottoscrivono contraggono un duplice obbligo: osservarne i contenuti ma anche vigilare sul rispetto da parte degli altri soggetti. Questo aspetto è per certi versi “rivoluzionario”, il codice prevede precise sanzioni di natura politica in caso di inadempienze gravi o reiterate. La Carta di Pisa quindi, se ben conosciuta e utilizzata, può diventare uno strumento estremamente efficace.

Ai cittadini che si astengono dal voto ed hanno perso la fiducia verso i partiti, cosa si sente di dire?

E’ comprensibile, di fronte a certe manifestazioni di degrado fornite da una certa politica, il montare della disillusione e della sfiducia, ma l’astensione dal voto e più in generale l’allontanamento della cosa pubblica sono una risposta non solo sbagliata, ma controproducente. L’idea che “tanto sono tutti uguali”, il non-voto, la fuga da qualsiasi forma di coinvolgimento e di partecipazione politica sono utili soprattutto ai politici peggiori, che così possono mantenere più facilmente in funzione le loro reti di consenso e i loro centri di potere pubblico convertiti in fonti di profitto privato. Ma i politici non sono tutti uguali e occorrono cittadini ben informati e attivamente partecipi per selezionare quelli di migliori capacità e più elevata integrità, per tenere loro il “fiato sul collo” sul rispetto degli impegni presi, rendendo partiti e rappresentanti quotidianamente responsabili delle loro scelte.
A cura di Giulia Migneco
 
 
Alberto Vannucci, professore di Scienza politica presso l’Università di Pisa, da anni si occupa di studi e ricerche sulla corruzione. Ha scritto tra l’altro, con Donatella Della Porta, Un Paese anormale. Come la classe politica ha perso l’occasione di Mani pulite (Laterza, 1999) e Mani impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia (Laterza 2007), The Hidden Order Of Corruption (Ashgate, 2012).