sabato 19 novembre 2011

Nichi Vendola su governo Monti

Il governo e i fantasmi del passato

Provo sentimenti di delusione verso i primi passi annunciati dal governo Monti. Abbiamo certamente apprezzato lo stacco, la fine del carosello della volgarità e della pornografia; è uscita una classe dirigente selezionata nei concorsi di bellezza o nei retrobottega del presidente del Consiglio ed è entrata in campo, seppure in una fase transitoria di emergenza, una di grande competenza e qualità. Abbiamo apprezzato la fine di uno stile Berlusconiano che io definisco commercial-pornografico, finalmente sepolto.
E’ stato difficile vivere in un Paese così volgare nei confronti delle donne, delle minoranze. Però lo stile non basta. Sotto l’abito buono, decoroso, che indossa questo governo vorremmo vedere il corpo di un cambiamento reale, di una discontinuità. Purtroppo il premier Monti nel suo discorso programmatico ha chiarito che non ci sarà un intervento strutturale sulla ricchezza, non ci sarà un intervento sulla patrimoniale, che è l’unico modo oggi per affrontare seriamente la crisi economica e finanziaria, cioè chiedendo a quella parte della società che si è abbuffata di ricchezza di dare il proprio contributo a rimettere in piedi il Paese.
Non c’è questo ma c’è un’allusione inquietante ad interventi sul tema previdenziale e sul mercato del lavoro, e c’è un preoccupante riferimento all’attuazione delle riforme del ministro Gelmini, cosa che non mi pare essere un preludio ad un felice rapporto con le giovani generazioni.
Il ritorno dell’Ici sulla prima casa è una misura debole, un pannicello caldo e rischia per di più di essere un’ingiustizia se non si colloca in un quadro chiaro di redistribuzione della ricchezza e del peso dei sacrifici. I sacrifici devono essere proporzionalmente molto più pesanti verso il vertice della società e molto più leggeri verso la base della società.
E poi c’è il Mezzogiorno di Italia dimenticato, una rimozione che perpetua la questione meridionale. Il Sud esce penalizzato da trent’anni di politiche economiche e sociali. A poco a poco le risorse straordinarie hanno surrogato le risorse ordinarie, cioè da Roma al Sud diminuiva il portafoglio dei trasferimenti. Dovevamo raggiungere il 45%, secondo tutte le leggi finanziarie, del totale dei trasferimenti. Oggi siamo al 36% dei trasferimenti ordinari, vale a dire che lo Stato sempre meno finanzia le funzioni fondamentali del Mezzogiorno. Allora non ci resta che la finanza straordinaria, quella che dovrebbe aiutare a diminuire il divario di sviluppo e che invece viene ormai utilizzata per l’ordinaria amministrazione.
I governi Berlusconi hanno usato la finanza straordinaria del Sud come il loro personale salvadanaio da cui attingere per dare qualunque risposta a qualunque problema, incluse quelli relativi alle clientele della Lega Nord. Oggi dobbiamo chiedere con forza di intendere che il Sud non è un accattone, non è davanti a palazzo Chigi con il cappello in mano. Il Sud chiede di essere al centro delle politiche di rilancio del lavoro, soprattutto per i giovani e per le donne, chiede una crescita ambientalmente sostenibile e chiede di non essere più scippato delle proprie risorse. Deve finire l’epoca in cui se c’è un problema in Italia, ci sono i fondi Fas o c’è il fondo sociale europeo o c’è il Sud che paga per tutti. C’è una condizione sociale particolarmente drammatica e oggi è necessario capire che bisogna liberare risorse, bisogna consentire che queste risorse vengano effettivamente spese. Ma finchè c’è il vincolo del patto di stabilità che incombe anche sulle spese per investimenti, noi siamo paralizzati.
Bisogna fare soprattutto una politica industriale per il Sud. Abbiamo bisogno di un governo che si occupi dei cantieri navali, della Irisbus, delle grandi vertenze che raccontano di un Sud che ha un potenziale produttivo enorme, ma che da troppo tempo viene umiliato e offeso da una classe dirigente che è gonfia di odio nei confronti del Mezzogiorno di Italia. Fino ad ora non c’è stato un cambio di passo e i segnali che giungono raccontano che tutto continuerà a pesare sulle spalle del ceto medio e dei ceti popolari. Deve essere chiaro però che questo non è soltanto socialmente iniquo, ma è anche economicamente disastroso.