martedì 29 novembre 2011

Tilt: Interventi di Marica Setaro e Francesco Cecchetti. Appuntatevi i nomi.

Marica Setaro

Intervento apertura Tilt Pisa – 25-26-27 novembre 2011
NI UNA MAS – NON UNA DI PIU’
È un appello di rabbia e dolore, ma è anche una presa di parola e di pratiche quello che si è levato simbolicamente oggi pomeriggio sul Ponte di Mezzo di questa città in occasione della Giornata internazionale contro la violenza alle donne. Non una di più rispetto alle 126 donne che, nel solo 2011, sono morte per mano dei loro aguzzini in Italia. Una mattanza quotidiana e silenziosa che il più delle volte si consuma tra le mura di casa, nella falsata e bugiarda sacralità della famiglia, nell’ipocrisia di un immagianario familiare sotto la cui coltre patinata si cerca di nascondere, travisare, ignorare un femminicidio ripetuto, recidivo. Ho preso in prestito parole forti dal vocabolario nero e rosso di sangue che attraversa la storia delle violenza sulle donne: mattanza, femminicidio, rabbia, dolore, silenzio, sangue. E’ il repertorio della violenza, che non può essere edulcorato dall’estetica e dalla chirurgia plastica entro cui si cerca di ingabbiare l’universo femminile. Sono lividi e livore di corpi di donne, giovani, mature, migranti, bambine, che hanno terribilmente imparato ad indossare , fino alle estreme conseguenze, i segni della violenza maschile, fisica e psicologica, del loro partner; vestono questa violenza come un abito indossato al contrario. Quei segni parlano di noi, della nostra storia, del nostro presente.
Non è un tributo retorico e commemorativo aprire la nostra tre giorni di Tilt con questo mio intervento; non è una pura e semplice coincidenza quella di oggi, giornata internazionale contro la violenza alle donne all’interno del nostro percorso politico.
Ma cos’è Tilt? Quanto questa parola che evoca nel senso comune di ciscuno disordine, instabilità, confusione che si produce grazie a qualcosa o qualcuno che spariglia le carte e prova a riformulare insieme le regole del gioco, magari della politica, della partecipazione, del protagonismo di una generazione condannata a non avere un futuro, può e deve ripartire, costruire, reinventare gli strumenti di una rigenerazione culturale e politica del paese a partire, ad esempio, dalle donne, con le donne e all’interno di un contesto che chiama in causa l’intero mondo delle differenze di genere?
Abbiamo scritto, invitandovi a partecipare a questa tre giorni, che abbiamo fatto Tilt e costruito una rete di persone e di associazioni, di singoli/e e di gruppi, in movimento. Un racconto comune, un luogo di incontro e condivisione che si pone l’obiettivo di costruire la sinistra partendo dalla nostra generazione, quella costretta all’irrappresentabilità, ma che è stata protagonista del risveglio di questo paese. Abbiamo la pretesa di rivendicare reddito e di farne la cifra rilevante e non più negoziabile per l’agenda sociale e politica di questo paese. Abbiamo la folle audacia di rivendicare il diritto alla felicità. Già, vilenza contro felicità… Non ci sfugge che tra i falsi strumenti branditi dalla politica per come la conosciamo in questi tempi ci sia quello della promessa di una quota rosa per seppellire il bisogno di radicalità e di protagonismo delle donne e delle giovani donne, nel lavoro come in politica. Non ci sfugge che il potere e la politica mettano in atto strategie mimetiche di marginalità e insubordinazione delle donne che fanno il paio con un femminismo di maniera, di moda, di tendenza che serpeggia e si fa parola e cosa, come ha scritto Cristina Morini di recente, tra settimanali, magazine, salotti televisivi. Un femminsimo pret-a-porter, per l’appunto, che pure porpone un nodo duro da aggredire all’interno della retorica liberale del potere: le donne manager più brave degli uomini, le donne in carriera, la femminilizzazione del lavoro e della società, le donne, nelle relazioni con gli uomini, non più disposte a sopportare il compromesso perché più libere di determinarsi e di rendersi autonome, leit motiv che costruiscono il senso comune e sono funzionali ad un discorso politico ingannevole, a tratti subdolo, che ti crea le potenzialità e gli spazi per un ruolo pubblico e quindi per la tua pratica politica di cambiamento, di visione differente del mondo e delle relazioni, della tua conflittualità, ma che poi lo fa convergere all’interno di un ordine precostituito, gerontocratico, maschile, attraverso un processo di celebrazione che prevede ad esempio di confinare in un determinato spazio, ben defintio, la tua indignazione, il tuo reclamare un’uguaglianza di mezzi nella differenza valorizzante dei generi, al fine di ridurre al silenzio lamentoso il tuo reale intervento. E tu, come in una tana di Kafka, finisci col riconsocerti con questo meccanismo. Diceva bene ieri Paola Baora, presidente della Casa della donna di Pisa, mentre analizzava i dati della crisi che venivano fuori dalla perdita di lavoro nei resoconti dei centri per l’impiego. E lo ha fatto raccontando un aneddoto di una coppia, uomo e donna sulla quarantina, entrambi con un lavoro solo alle spalle: lei era lì e reclamava, disperata, il lavoro per lui, certa che lei in qualche modo se la sarebbe cavata. Ritorna un un antico tratto della femminilità, quello di chiedere prima per gli altri e poi per sé, segno di un indubbia e materna generosità, certo, ma che ha anche l’altra faccia della medaglia: quella di un retaggio secolare di essere ridotte e ricondotte a i margini, di farsi da parte, in qualche modo, di non prendere parola.
Precarietà/ricattabilità/violenza
Fra i dati e i numeri preoccupanti che abbiamo letto in qeusti giorni sui reati legati alla violenza sulle donne, ce ne sono alcuni su cui, in chiusura, vorrei focalizzare l’attenzione perché sono argomento cruciale dei workshop di questi giorni. Volendo usare un campione ridotto, quello dei dati del centro anticiolenza di Pisa dell’ultimo anno, balzano agli occhi due fattori direttamente proporzionali: aumentano i maltrattamenti e le violenze sulle donne nella fascia di età compresa fra i 30 e i 40 anni e, al tempo stesso, si registra che la condizione lavorativa di queste donne è totalmente precaria: un terzo sono inoccupate o disoccupate, un terzo vive di contratti precari, solo il 20% ha un contratto a tempo indeterminato.
Molti di questi lavori, che molte di noi, qui stasera conoscono e vivono sulla propria pelle, appartengono a nuove forme di lavorizzazione delle donne: è una sfera complessa in cui la socialità, il lavoro cognitivo, l’affettività, la sessualità sono espliciti fattori di valorizzazione. Relazione, desiderio, consumo sono tratti imprescindibili della produzione e del lavoro. Un terreno scivoloso su cui si sono esercitate nuove forme e nuovi lingiaggi della violenza sulle donne. L’ultimo biennio pornocratico, come felicemente lo ha chiamato qualcuna, ha reso evidente il sodalizio granitico che soprattutto la politica e il triviale immaginario pubblico hanno compiuto: il corpo, nel rapporto stretto fra sessualità, denaro, politica, fa tutt’uno con l’immagine mostruosa del Leviatano contemporaneo: è diventato un corpo sinuoso, perfetto, finto, provocante, all’interno del quale si articola un vero e proprio sfruttamento economico ed ideologico dell’erotizzazione, in cui non funziona più il nesso cotrollo-repressione, ma dove invece si ipervalorizza il nesso controllo-stimolazione.
Questo è per noi giovani donne un terreno serio di discussione che non può essere liquidato né con vecchi moralismi o atteggiamenti beghini che ci dividano in buone o cattive, in più o meno dignitose; un terreno su cui invece si è consumata e si è accumulata una terribile slavina negli scorsi mesi che ha ipnotizzato l’intera società italiana:quella del teatrino a luci rosse del premier che riproduce poi un copione tutto sommato vecchio: un libidinoso e grottesco riccastro con una coorte di donne discinte. Il tritacarne mediatico ha appiattito ogni discussione entro questo immaginario, un sortilegio ipnotico da cui, come in un brutto sogno, ci siamo risvegliate il 13 febbario.
Tilt è uno spazio della politica che sta dentro l’irruenza e la presa di parole che le donne del 13 febbraio hanno gioiosamente ripreso, pur nelle differenze, anche generazionali, che ci caratterizzano. Oggi le compagne e le amiche di tilt hanno un’impresa ardua e felice di fronte a sé: possiamo costruire uno spazio alternativo efficace, possiamo sperimentare micropolitiche che ci forniscano gli strumenti per riattivare e risemantizzare la grande narrazione del femminismo storico di questo paese. Abbiamo bisogno di elaborare parole nuove, abbiamo bisogno di toglierci di dosso quella strana sensazione a metà fra la paura di non saper immaginare un mondo diverso da quello frammentato e precario che ci hanno disegnato addosso e la voglia di essere protagoniste di una stagione di nuove pratiche di genere che non siano solo il frutto di una consegna del passato e dal passato, come da un archivio polveroso. Dobbiamo farlo a partire da noi, anche nelle modalità dei confronti e delle decisioni condivise di questi giorni, anche a partire dalla presa di parola in assemblea. Al bando la nostalgia e la paura, per poter provare a sentire dentro l’entusiasmo e al tempo stesso l’onere di un impegno mai sopito come quello di Carla çonzi quando scriveva: “Traboccava la voglia di uscire dalla prigione e di sbeffeggiare il nostro carceriere. Il mio sdegno saliva alle stelle, ma anche la mia felicità, perché finalmente esprimevo senza sensi di colpa né complessi di inferiorità la mia voglia di esistere, la mia presenza…cercavo di risvegliare questo fuoco nelle altre perché potessero gettarsi nell’acqua fredda e fare una bella nuotata. Lo shoc più bello,tonico, salutare che ho mai provato”.
Beh, allora spero che questa tre giorni di tilt possa essere anche per noi una bella nuotata! Buon tilt a tutte.


Francesco Cecchetti

Intervento apertura Tilt
“E’ nato il governo del riscatto e dell'equità, per uscire dall'emergenza e recuperare la fiducia dei mercati, dell'Europa, dei cittadini. Nessun sorriso, molta preoccupazione: ma anche la convinzione che l'Italia possa farcela, e il ritorno a concetti come "dignità", "scrupolo", "servizio", soprattutto "responsabilità" e "bene comune". Cambiano i protagonisti cambia il lessico e il contesto, con una svolta culturale e concettuale, dunque politica, che non poteva essere più netta.
Ezio Mauro, “La Repubblica”, 14 novembre 2011

Questo arcaico stile di rivendicazione, che finisce spesso per fare il danno degli interessi tutelati, è un grosso ostacolo alle riforme. Ma può venire superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili.
Mario Monti, “Il Corriere della Sera”, 2 gennaio 2011

3 mesi dopo Roseto degli Abruzzi, da stasera, ci ritroviamo in tante e tanti a Pisa. 3 mesi fa eravamo una bella possibilità per la politica, oggi siamo una realtà forte e radicata su tutto il territorio nazionale. Ci ritroviamo, tra mille difficoltà, perché pensiamo che il tema della partecipazione dei giovani alla politica sia centrale, non più eludibile.
Il 14 dicembre dello scorso anno migliaia di studenti protestavano a Roma contro le politiche del governo Berlusconi.
Il 13 febbraio milioni di persone in tutta Italia manifestavano per la dignità delle donne “Se non ora quando”. Stasera Marica ha richiamato un punto centrale del percorso di queste mobilitazioni: aprire la nostra tre giorni tilt richiamando la giornata internazionale contro la violenza sulle donne non è evidentemente un tributo retorico; è invece il nervo scoperto su cui questa nostra generazione deve investire radicalmente: il mobbing, lo sfruttamento, l’espulsione dalle politiche minime di welfare e dalla politica tout court delle giovani donne dice di una violenza radicata che abbiamo il dovere di scompaginare. A partire da qui, da noi, da stasera.
Il 9 aprile, poi, ragazzi e ragazze in tutto il Paese dicevano NO alla precarietà perché “il nostro tempo è adesso”.
Una volta a sinistra si diceva: “Piazze piene, urne vuote”. Milano, Napoli e Cagliari e i referendum hanno detto “Piazze piene, urne piene”. La partecipazione che ora è negata, gli esiti delle amministrative e dei referendum sono stati traditi. Il “bene comune” è l’acqua pubblica e la tutela dell’ambiente, non un accordo fra partiti in parlamento per legittimare la macelleria sociale.
Poche settimane fa, alla stazione Leopolda di Firenze, qualcun altro organizzava un weekend di discussione politica. In realtà di politica ce ne era ben poca. L’unico messaggio che passava era: togliamo i politici vecchi, e mettiamo i politici giovani. Anche loro sono rimasti fregati. Oggi la parola d’ordine è: togliamo i politici. Noi, invece, vogliamo riappropriarci della politica.
Siamo una rete generazionale, ma non crediamo nello scontro generazionale. I nostri avversari non sono i “cosiddetti” garantiti, i nostri padri e le nostre madri che lavorano, i nostri nonni che sono in pensione o che sperano di andarci. Il nostro avversario è una classe dirigente che è vecchia perché non sa più nulla del mondo che le sta scoppiando in mano. L’Italia ha fatto un bel salto di qualità nelle ultime settimane: siamo passati da quelli che scambiavano il mondo per una vetrina televisiva a quelli che lo scambiano per un indice di borsa. Noi non viviamo in un mondo di plastica: non ce lo possiamo permettere. Noi siamo gli interpreti più autorevoli della crisi perché la viviamo ogni giorno sui nostri corpi, perché la necessità ci costringe a interrogarla e a capirla per quello che è.
Così abbiamo deciso di prendere la parola e provare a raccontarlo. Questo mondo.
Il mondo che vediamo è fatto:
1) di mafie e di chi contro la mafia lotta ogni giorno;
2) è un mondo fatto di cittadinanza negata e di chi ritiene che tutti gli uomini e le donne che vivono nel nostro paese debbano avere gli stessi diritti;
3) è un mondo fatto di conflitti che faticano a trovare una strada per esprimersi. Una grande domanda di cambiamento che rischia di frammentarsi in uno scontro sulle forme perché è difficile trovare i contenuti, che può rimanere ostaggio di pochi, com’è successo il 15 ottobre, restare indifesa di fronte a una distruttività senza politica, perché la Politica è troppo distante per offrire qualunque orizzonte di mediazione, di costruzione. Ma non possiamo arrenderci: la strada è quella di una radicalità adulta, di un conflitto intelligente, la strada della politica. E’ una strada strettissima, ma dobbiamo percorrerla.
4) Ma soprattutto, e più di ogni altro cosa, questo mondo è precario. Un mondo in cui si sovrappongono vecchie e nuove forme di sfruttamento, un mondo in cui si continua a morire nelle fabbriche e a chi entra nel mondo del lavoro non è consentito progettarsi una vita, un mondo in cui nelle fabbriche peggiorano le condizioni di lavoro e in cui i giovani ricercatori una condizione di lavoro non se la sognano nemmeno perché sono costretti a insegnare gratis. Precarietà significa solitudine e solitudine significa ricattabilità. Vogliamo reddito. Un reddito per il lavoro e non contro o senza il lavoro. Non reddito in cambio di precarietà, ma un reddito per poter rialzare la testa e lottare per una vita dignitosa.
Di questi temi parleremo a partire da stasera.
Ci aspettano mesi difficili. Anche chi oggi tira un sospiro di sollievo si renderà presto conto che il governo tecnico non esiste. Esistono diverse opzioni politiche per affrontare la crisi. Quella crisi che oggi pensano di poter risolvere coloro che l’hanno creata. Noi scegliamo l’opzione politica che ci vede protagonisti. Dobbiamo impegnarci con tutta la nostra intelligenza per capire la realtà di questi mesi e giocarci fino all’ultimo frammento di cuore. Per cambiarla e per conquistarci il nostro diritto alla felicità . Buon lavoro a tutte e a tutti.
Benvenuti a Tilt Pisa 2011.