Corro trafelato per arrivare in tempo a prendere il treno delle novemmezzo. Ho una riunione a Firenze sul Trasporto Pubblico, tema che mi affligge ormai da due anni e che occupa gran parte del mio lavoro quotidiano. Non posso permettermi di arrivare in ritardo; questa mattina si discute la eventuale ripartizione di altre risorse ed io porto con me la responsabilita di quattrocentomila persone, tanti sono gli abitanti della provincia, da Sasso Pisano a Ripafratta. Ma in ritardo lo sono comunque, come sempre...
Amo rincorrere il tempo, lasciandomi alle spalle cose fatte e accumulando ansie positive. Non mi sono svegliato tardi, anzi alle sette ero in piedi. Ho scritto su Molina, guardato la posta e fatto telefonate. Guardato La voce del Serchio, i titoli dei giornali che fra poco toccherò con mano e Pisanotizie. Sono in pace con me stesso, l'ansia mattutina è governata, ma il treno rischio comunque di perderlo e questo sarebbe un casino.
Corro dentro la stazione di Pisa. Qualcuno mi chiama per salutarmi, non mi giro nemmeno.
Lo zaino rosso, che non mi abbandona mai, stamani sembra più peso del solito. Anzi lo è. Ci ho infilato un paio di libri in più, ogni tanto lo faccio. Penso di leggerli nei ritagli di tempo della giornata, che sarà lunga. Solo illusioni. Quante volte la sera, tornando a casa, prendo i libri dallo zaino, senza averli nemmeno aperti, li soppeso, li saluto e li apro per la prima volta nella giornata. A quell'ora tarda dopo cena, per leggerli. Ma spesso sono oltre le undici. E' così, leggo di notte, fino a tardi e questo mi fa sentire bene e leggere tanto. Rubo tempo al sonno. E comunque i libri dietro vanno sempre portati. Non si sa mai. Metti un ritardo; una volta in un aeroporto a Palermo ho letto un romanzo intero. L'aereo delle 22e10 è decollato alle tre causa vento e lì mi sono compiaciuto per i libri sempre con me. Da ragazzo avevo una valigina con i libri per le vacanze, che portavo sempre dietro.
Questa mattina fa un caldo bestiale, le tv lo chiamano "anticiclone africano" mi pare.
Grande sforzo di fantasia.
Faccio il biglietto all'edicola e correndo raggiungo il binario 8. L'altoparlante ha già avvisato la partenza, ma monto al volo. Ce l'ho fatta, alè. Tanta gente accalcata e accaldata; trovo un posto facendo spostare lo zaino a uno straniero, che culo. Si parte. Armeggio nello zaino e tiro fuori sei- sette fogli A4 con degli appunti scritti il giorno prima con quelli del mio ufficio. Mi serviranno per la riunione. Provo a ripassare; lo zaino sulle gambe, il biglietto ancora in mano, gli occhiali da sole a giro per conto loro. La gente che spinge nel corridoio. Mi giro un attimo per sistemare gli occhiali e mi cadono i fogli. Li raccatto e mi cadono gli occhiali da sole. Un signore in piedi mi perge il biglietto che mi era scivolato sul sedile. Sono in preda alla sprecisione più totale. Mi fermo. Rimetto i fogli dentro, assicuro il biglietto nel portafogli, gli occhiali da lettura nella tasca interna della giacca e quelli da sole sugli occhi. Poi abbraccio lo zainetto rosso, chiudo gli occhi e provo a rilassarmi prima di ripartire. Al mio fianco, impercettibile sento un movimento. Un ragazzo, in pantaloncini corti estivi e polo bianca. mi guarda esterefatto. Sicuramente attratto dai miei movimenti compulsivi fatti nei primi sessanta secondi dopo che mi sono seduto. Mi sorride quasi a tranquillizzarmi e sfidandomi ( ma questo mi piace pensarlo a me) , tira fuori da una piccola borsina, l'unica che ha, un"affarino" rettangolare che di lì a poco si illumina. E' il mitico Tablet. Di sguincio vedo che consulta un quotidiano, poi fa un passaggio sulla posta elettronica e dopo un po' quasi a volermi umiliare legge una cosa che sembra una relazione e che invece è un romanzo o qualcosa di simile ... in inglese. E sfoglia, in modo virtuale ma sfoglia. Fa il gesto di sfogliare. Gira la testa, mi guarda per un attimo e a me pare che pensi:- Così si fa, amico mio, altro che quei foglioni tutti scarabocchiati, che prima ti ho aiutato a recuperere". Richiudo gli occhi zitto zitto, tiro la cerniera dello zaino e ci infilo una mano dentro. Tocco il libro di Ammanniti, lo riconosco è quello più grande, poi controllo a tatto l'altro, "IL sarto di Ulm" di Lucio Magri; gli appunti, l'agenda Molenskine che mi ha regalato Giovanna a Natale. C'è tutto. Tocco anche i giornali, il Tirreno, Il Manifesto, L'Unità. Ne colgo il fruscio della carta palpata. L'odore me lo immagino, ma appena li tirerò fuori lo sentirò.
Il treno si ferma e mi scuote da quello stato di grazia. Guardo fuori dal finestrino, siamo a Pontedera. Ho tempo per dormire ancora un po', abbracciato al mio zaino rosso pieno di leccornie.
"Che questi non siano davvero più i miei tempi?"