lunedì 28 luglio 2014

Una settimana alla volta


Sono colpito dalla tenacia di mia figlia.
Affronta i possenti esami di medicina con una dedizione allo studio che non ha regole.
E va avanti. Ha finito tutti gli esami del terzo anno. E' tosta, si farà. Sono certo che sarà un buon medico.
Ha anche uno spiccato senso di giustizia, che non è male.
Tutta sua madre, anch'essa sempre con la guardia alta; il senso per la giustizia e la difesa dei più deboli spiccata. E una dedizione al lavoro e al "pubblico", che commuove.
Avrà perso dieci giorni di lavoro  in tutta la sua carriera.
E ha trovato il verso, un po' di anni fa, di prendere una seconda laurea a Trieste.
Si è occupata con passione di disagio e lo stesso fa ora con i libri, in biblioteca comunale.
Mentre penso alle mie eroiche belle ragazze, ripercorro la mia vita a ritroso.
Ho fatto cose di grande passione (e ringrazio chi ha avuto fiducia in me), faticose e impegnative, ma non ho mai programmato una carriera. In questo sono un portatore sano di "scombiccheratezza". Ho preso decisioni difficili. Sono uno che sa prendersi  responsabilità senza essere incosciente.
Ho approfondito Sun Zu e sono un teorico della via di fuga.
Ho avuto in mano il Potere, ma finito il mio turno della gestione del bene pubblico, l'ho restituito come me l'hanno dato (leggetevi la storia del priore francescano e gli abati).
Sono lontano  però mille miglia, dalla dedizione e dalla tenacia delle mie donne.
Se l'avessi avuta sommata ai"virtuosismi", mi dice qualche amico caro, avrei spaccato il mondo. Meglio così; a me di "spaccare " non interessa per niente. 
Non mi sono laureato, mi mancava pochissimo, perché a un certo punto non mi è interessato più, ma mio padre non l'ha mai capito (e penso che avesse ragione, quando me ne chiedeva conto, con delicatezza).
Ho studiato tanto lo stesso però, forse molto di più che prendere una laurea, ma è servito solo a me.Ho imparato l'urbanistica, le politiche sulla mobilità e le leggi sul personale. Gli appalti e il sistema scolastico.Mi sono fatto una conoscenza di cose che da ragazzo non avrei mai creduto. Ho amministrato "la cosa pubblica", il bene di tutti. Un onore. E l'ho fatto essendo scelto dalla gente.Ho continuato a corteggiare la letteratura, con garbo, per stare bene. Non ho mai smesso di scrivere filastrocche, come ai tempi di Arciragazzi. Sto mollando con la politica perché non ho più la tenacia della battaglia. Non mi garba più il clima, diciamo la verità. Continuo però a innamorarmi di tutto come dice il poeta e soprattutto se non ci "fosse la ragione" e il senso di responsabilità che mi ha insegnato un barbiere di provincia (mio padre), oggi sarei il vero prototipo del perdigiorno. Perché sia chiaro, l'indole è quella.
Studiare cosa mi pare e viaggiare dove voglio, mi piace da morire. Soprattutto conoscere le storie delle persone.
Amo oziare, conversare e "perdere tempo", che per me non lo è; e non mi sento in colpa. E appena posso lo faccio con militanza.
E' chiaro che tutto questo non "aiuta la carriera". ma a tutto c'è un prezzo da pagare.
Poi mi infilo in battaglie impossibili. L'ultima, sostenere le cooperative antimafia e questo mi fa stare bene. Conoscere gente nuova, coraggiosa e umile. Volontariato allo stato puro.
Sono un dipendente della scuola, faccio l'assistente di laboratorio. Un lavoro che mi cadde addosso trent'anni fa e che mi ha salvato la vita nei momenti difficili. Me la salva tuttora.
Un collega esperto, mi ha fatto i conti. Devo lavorare ancora dodici anni, per raggiungere la pensione che sarà di "tre lire". Ne ho 56. Una vita ancora e non mi posso permettere di fare programmi a breve. E questo lo sapevo. Serve un' invenzione che mi stimoli per almeno altri dieci anni. Ci sto lavorando.
Sono cresciuto pensando prima a fare le cose che mi piacevano, chiedendo solo in un secondo momento, quanto guadagnassi.
Anche quando sono diventato Sindaco, non sapevo quanto avrei guadagnato, e per quanto mi riguarda sono stato retribuito dignitosamente, ma certamente sono lontano dalla logica di chi invece oggi (e ci sono) punta a fare l'assessore per arrotondare lo stipendio (ohibò!). Ho vissuto di quello che mi spettava e mi spetta, sempre. Di quello che basta, pur di fare cosa mi piace.
Non ho mai battuto ciglio quando mi hanno detto di contribuire economicamente alla politica, versando mensilmente una quota del mio stipendio.
Perché credo che la politica vada finanziata, sennò la fa solo chi ha i soldi; che è altra cosa dell'abusare della politica per fare soldi.
Ho un sogno che spero un giorno di poter mettere in pratica. Vivere scrivendo filastrocche accontentandomi  di un vitalizio. Fosse  la pensione minima che mi toccherà o il lascito di qualche "mecenate che mi vuole bene". Potrei fare domanda  per l'applicazione della legge Bachelli, che sostiene  gli artisti in povertà. In fondo continuando a "rincorrere i profumi della vita", un po' artista mi sento.E dannatamente gaudente, avendo la  certezza che la vita è una sola e il futuro è oggi.
"La vita è troppo breve per bere vino scadente" è scritto su un cartelletto che staziona nella mia cucina. Mai detto fu più vicino alle mie aspettative.
E poi l'anima che ti sorregge, quella vera....Mai come in questo periodo vive in me  forte l'idea che mi sono fatto da tempo; di essere nobile senza mai averlo saputo ufficialmente.Di essere trisnipote illegittimo di uno dei conti scapestrati del Lungomonte gentilizio. Il cognome Degli Esposti di mia nonna Varalda, figlia di Giuseppe "trovatello", ne è la conferma. E siccome è vero quello che si sente, essendo io come i nobili di campagna, uno spirito libero, nobile mi sento.
Avanti quindi incontro alla Sinistra di bellezza col cuore rosso di passione che batte in alto a sinistra e che pompa sangue blu. Caratteristica che non guasta, in questo mondo che non si fa piacere come un tempo.
Sono passatista, anche se non disdegno chi "spara alla luna".

giovedì 24 luglio 2014

Tramonto


Bandiera rossa straccciata al tramonto

Dopo una lunga e terribile agonia
fatta di chiacchiere che il vento porta via  
che hanno fiaccato nel tempo il vero agire
Da troppo lo sappiamo senza dire

che la Sinistra ha ormai deciso di morire

Ma non abbiamo mai pensato come
quasi volessimo non provar dolore
Tutto è accaduto presto e in poche ore
Ed anche i Saggi non trovano il perchè
 ma intorno al tavolo son poco più di tre
 -Basta guardare..... il popolo non c'è!-



 

martedì 22 luglio 2014

Marwan Barghouthi libero



 
Da Famiglia Cristiana

Marwan Barghouthi, il Mandela palestinese
Dal 1967 i palestinesi arrestati sono stati più di 800 mila, ovvero il 20% della popolazione, il 40% degli uomini: quasi ogni famiglia ha avuto persone arrestate e 73 prigionieri sono stati uccisi a causa delle torture. Un nodo delicato, quello dei prigionieri palestinesi, tanto che è una delle ragioni del fallimento della mediazione tentata da John Kerry. Perciò è nata la campagna per la liberazione di Marwan Barghouthi, uomo-simbolo per il popolo palestinese (ma considerato un terrorista da Israele).
Una delle cause che ha portato al fallimento delle ultime trattative tra Israele e Palestina, guidate dal segretario di stato americano John Kerry, è stata la questione dei prigionieri palestinesi. Proprio per loro, da alcuni mesi è in atto una campagna internazionale di sensibilizzazione, nata il 27 ottobre scorso. In Italia, a portarla avanti è Luisa Morgantini, ex vicepresidente del parlamento europeo e ora presidente di Assopace Palestina, da sempre portabandiera della causa palestinese in Europa e nel mondo intero.

Amica di Vittorio Arrigoni, Luisa Morgantini lo cita per spiegare le origini della campagna: «Vittorio ricordava spesso la frase di Mandela che diceva: “La Palestina è la questione morale del nostro tempo”». E, in effetti, Nelson Mandela ha sempre avuto a cuore la causa palestinese, che spesso paragonava alla lotta contro l'apartheid in Sudafrica. Ai suoi funerali, fra i tantissimi capi di Stato e di governo, Israele era assente.

Racconta Luisa Morgantini: «Prima di morire, Mandela ha voluto lanciare tramite il suo amico di sempre, Ahmed Kathrada, la campagna per la liberazione di Marwan Barghouthi e dei prigionieri palestinesi proprio dalla cella di Robben Island in cui fu detenuto per vent'anni. Io ho avuto la fortuna di essere presente, quel giorno. È stato emozionante. Per la mia generazione, che ha fatto battaglie e campagne contro l'apartheid in Sudafrica, è un segno fortissimo. Chi di noi allora avrebbe immaginato che nel '90 ci sarebbe stata la pace e Mandela sarebbe stato non solo liberato, ma sarebbe divenuto presidente?».

L'idea di lavorare su questo tema era nata partendo dalla considerazione che i palestinesi sono spesso descritti come numeri: un tot di morti, un tot di feriti. Ma sono cifre, senza storie. «Cercavamo un simbolo, un volto per uscire dall'anonimato del dramma palestinese e abbiamo pensato a Barghouthi. Ahmed Karthrada è andato da lui in carcere, spiegandogli la nostra idea. Barghouthi ha accettato, ma a una condizione: “Fate una campagna, ma non solo per me, fatela pure col mio nome, ma per tutti i prigionieri palestinesi”».

Ma chi è Marwan Barghouthi e perché è stato scelto proprio lui? Arrestato il 15 aprile 2002, da allora è detenuto in un carcere di massima sicurezza ed è stato condannato a 5 ergastoli e 40 anni di carcere. È da sempre una delle voci palestinesi più autorevoli ed ascoltate. «Abbiamo scelto lui perché ha un peso, perché ha scelto di appoggiare l'accordo di Oslo, perché crede sia possibile coesistere nel reciproco rispetto e nella sicurezza per entrambi i popoli. E poi è sempre stato per l'unità palestinese: quando nel 2006 Hamas ha vinto le elezioni, che l'Unione Europea  e il mondo avevano voluto ma di cui poi hanno rifiutato l'esito, Marwan con altri prigionieri stese un documento in 21 punti che riaffermava l'unita del popolo palestinese. È una figura di unità e pace, ciò fa di lui un simbolo. Tutte le forze politiche, dalle più moderate fino a Hamas e persino al Jihad hanno firmato il documento per la sua liberazione. Barghouthi è detenuto con prove inconsistenti ed è stato decine di giorni in isolamento. Durante il processo, ha contestato l'autorità del tribunale che lo giudicava, come fece anche Mandela a suo tempo».

I numeri che Luisa Morgantini snocciola sono impressionanti: dal '67 (data d'inizio dell'occupazione) i palestinesi arrestati sono stati più di 800 mila, ovvero il 20% della popolazione, il 40% degli uomini: quasi ogni famiglia ha avuto persone arrestate e 73 prigionieri sono stati uccisi a causa delle torture. «L'ultimo in ordine di tempo è un giovane di 30 anni, con moglie incinta di 4 mesi, arrestato con l'unica accusa di aver tirato delle pietre e morto in carcere a causa di percosse e torture, mentre Israele parla di infarto».

«Negli ultimi mesi», prosegue Morgantini, «nonostante i negoziati che erano in corso, Israele ha arrestato molti difensori dei diritti umani e continuato a far incursioni notturne. Oggi i detenuti sono 5224, di cui 476 all'ergastolo e 183 in detenzione amministrativa, una pratica che permette di procrastinare l'arresto ogni 6 mesi senza conoscere il capo d'accusa. Decine di persone sono rimaste per anni in prigione senza nemmeno sapere il perché: un orrore giuridico e umano. Non solo: oggi sono detenuti 210 minorenni, di cui 28 sotto i 16 anni».

Secondo l'associazione israeliana B'Tselem, dal 2000 sono 6 mila i bambini e ragazzini rimasti feriti, di cui molti resi invalidi; 10 mila minori sono passati dalle carceri israeliane e oltre 1.500 sono rimasti uccisi. Numeri che non comprendono gli ultimi tragici fatti. Oltre il danno, la beffa: «A ogni fermo di ragazzini, gli israeliani fanno pagare ai genitori delle multe. Le multe che i palestinesi pagano sono continue e le carceri in cui vengono detenuti sono pagate in buona parte proprio con i soldi palestinesi».

La campagna per Marwan e gli altri prigionieri palestinesi ha sponsor d'eccezione, tra cui sei premi nobel, da Jimmy Carter a Desmond Tutu, e viene sostenuta in oltre trenta Paesi. In Italia si chiede alle municipalità e alle istituzioni di aderire, di fare mozioni per la libertà e di dare la cittadinanza onoraria a Marwan Barghouthi: il primo a farlo, lo scorso aprile, è stato il comune di Palermo, dove a riceverla c'era la moglie Fadwa Barghouthi. L'ambasciata israeliana ha protestato per il gesto, accusando la municipalità di dare la cittadinanza onoraria a un “terrorista”.

In Francia sono già 40 i comuni che hanno compiuto questo gesto simbolico, che, insieme ad altre forme di adesione alla campagna, può diventare uno strumento di pressione internazionale per la liberazione di Marwan e degli altri detenuti.

domenica 20 luglio 2014

Una settimana alla volta

Una settimana di immagini



" dobbiamo considerare la lotta alla mafia un aspetto molto importante e decisivo, non a sè stante,ma nel quadro della battaglia più generale per la difesa dello stato democratico". 
Pio La Torre, 1982



Memoria, impegno e ricostruzione della comunità.

giovedì 17 luglio 2014

1977



Nel luglio del 1977 avevo diciannove anni.
Un anno difficile il settantasette dal punto di vista politico per un giovane estremista com’ero io allora.
Lotta Continua che mi aveva svezzato, aveva chiuso i battenti ed io non avevo inseguito i suoi strascichi che non mi piacevano più.
Molti giovani come me si trovarono orfani all’improvviso.
Sofri a Rimini l’anno prima ci aveva detto chiaro “Non ridere nè piangere ma capire …”
Mica era facile ed io capivo sempre meno.
Il Movimento ingrossava e sbandava tutte le mattine. Prendeva piede l’autonomia operaia e le P38 avevano fatto la loro comparsa alle manifestazioni.
La mia classe scolastica, molto politicizzata, in quel clima demenziale, aveva anche subito una perquisizione.
Messa a soqquadro di un armadietto dentro il quale pensavano ci fosse chissà cosa e invece trovarono solo cartelline coi disegni.
Quel clima però era torrido e chiunque frequentasse i movimenti…  era sospettato…
Dopo quel fatto increscioso con scuse,  ma che lasciò il segno su noi ragazzotti con la rivoluzione nel capo, decidemmo tutti insieme, su suggerimento di un professore che fino ad allora ci aveva accompagnato nelle “battaglie”, di staccare un po’ per dedicarci allo studio per gli esami di stato. In fondo mancavano tre mesi.
Per cui via dalle manifestazioni e dalle riunioni serali.
Studiare a testa bassa quindi fu una scelta indotta dagli eventi .
Per ritrovare serenità interiore, calmare il senso di colpa dell’aver studiato poco e liberare la testa dalla politica per un po' di tempo.
L’estremismo che amavo come forma estetica di protesta, rimasto nelle mani della violenza spesso fine a sé stessa, mi inorridiva.
Bisognava staccare e lo feci insieme alla mia classe. Ai miei fratelli.
L’obiettivo dell’esame di stato fu una salvezza. Studiavo per diventare perito fisico industriale.
Cinque anni di studi intensi e carichi di passione con insegnanti trentenni e molto politicizzati, figli di quel periodo anche loro. Fratelli maggiori.
Alla fisica e alla chimica, alternavo Brecht,   GramsciMarx,  la poesia e il primo ambientalismo di Commoner e Marcello Cini.
I nostri insegnati volevano consegnarci al futuro colti e pronti.
Avevo rifiutato il suggerimento dei miei genitori di iscrivermi al liceo, per seguire il mio cuore. Andare a scuola da sano provinciale con i miei compagni delle medie, che avevano tutti optato per una scuola tecnica.
Fu la mia fortuna. Anche se non sono in grado (ahimè) di fare citazioni latine.
In quella scuola e con quei professori ho cambiato la mia vita.
Ancora oggi quando incontro i miei compagni di classe di allora è festa.
All’esame di stato portai italiano come prima materia (l’unico della classe)
Studiai Leopardi come si può studiare al liceo classico (all’università poi mi iscrissi a lettere).
I miei amici universitari compagni di militanza, mi iniziarono ai saggi di Luporini e Timpanaro e mi si aprì un mondo.
Il leopardi progressivo e il marx leopardismo, mi appassionaro allo studio con atteggiamento militante.
Sognavo la poesia e la rivoluzione e la sera leggevo Maijakovski e Pasolini, alternato a partite di biliardo e briscola e scopa alla Botteghina, il bar di casa mia.
Lo scritto di italiano dell’esame era una traccia sulla Costituzione. Feci un tema ideologico, che non rifarei mai. Criticai da estremista tutto il criticabile. Non salvai nessuno. Una sciocca ingenuità giovanile. Alcuni passaggi furono segnati di blu.
Il professore di lettere, un esterno che veniva da Pontedera  e che dopo scoprii essere il segretario democristiano della DC del suo paese, mi  tirò le orecchie dicendomi che quello che avevo scritto era al limite del codice penale. Esagerava lo so, ma non gli piacqui per niente. Mi dette sei per la forma, disse a denti stretti.
Fu onesto nel giudicare il tema, ma io scrivevo benino e lui incalzato dal mio membro interno, che si sentiva quasi in colpa per avermi cresciuto con quelle idee e senza freni, non poté  infierire più di tanto.
Ma all’orale si rifece.
Mise subito da parte la mia tesina su Leopardi. Liquidò in una battuta lo studio interdisciplinare su Seveso. Avevo criticato la frenesia  capitalistica del fare profitti a scapito della sicurezza degli impianti chimici, e il disastro della Icmesa in Brianza ne era l’esempio lampante.
Mi chiese Manzoni. Mi massacrò sul concetto di Provvidenza; poi mi incalzò su marzo 1821 accanendosi sul significato di un verso che io non riuscivo “a decifrare”.
Mi strapazzò sadicamente, con metodo.
Io amavo e amo la letteratura dell’ottocento e mi difesi coi denti, ma capitolai..
Avrei voluto recitargli "I sepolcri a memoria" a quel sagrestano imbiancato…
Mi congedò con un sorrisetto quasi a dire- Ma dove vuoi andare … bimbo presuntuososo!”
Non gli piacqui e mi dette l’insufficienza.
L’altra materia tecnica, Impianti chimici, la passai in scioltezza.
Alla fine presi un voto dignitoso. Speravo di più, ma non ne feci un dramma.
Era la metà di luglio e mi si apriva un'estate di viaggi.
Ma la parte delle meraviglie del mio (nostro) esame, si era consumata pochi giorni prima  alla seconda prova scritta.  Elettrotecnica.
Lo studio di un motore asincrono.
Io non ci capivo niente. La maggior parte della classe era terrorizzata da questo scritto tignoso e carico di insidie. Una divisione sbagliata ti portava di colpo da un’altra parte.
Come sbagliare treno di notte.
Ma come in tutte le storie, un mago c’era. E veniva da San Giovanni alla Vena.
Lui sapeva tutto e aveva una testa con una logica stringente che non ho più ritrovato in nessuno della mia generazione. Oggi è un dirigente a Milano in una azienda importante.
Ho ritrovato solo dopo anni la sua velocità d’azione. Ma ho dovuto aspettare  queste nuove generazione figlie di un altro mondo.
Ma lui, il mio caro compagno di classe era un pioniere del ragionamento tecnico e gli veniva così... senza sforzi.
E poi aveva l’arte innata di aiutare  tutti e la modestia dei grandi che dà forza e non umilia.
Ricordo ancora il suo motto, nato all’Ortaccio, il circolo Arci di  di Vicopisano, quando aiutava qualcuno prima di un interrogazione- "Vai con calmezza e disinvoltazione”. Mitico. E si sedeva nel primo banco, pronto a suggerire qualcosa, se ne avevi bisogno.
Il compito di elettrotecnica  presupponeva oltre ad una impostazione teorica e il suo sviluppo passaggio per passaggio che era l’anima dell’elaborato, anche una serie infinita di calcoli con divisioni a tre cifre e con la virgola, che erano fondamentali. Un errore di calcolo appunto poteva portarti lontano dal risultato. E se commettevi l’errore eri finito.
Si parlava di corrente e un motore o si accende o ciccia.
Ma io ero abilissimo a far di conto. Ed è una caratteristica che avevo scoperto a quattro cinque anni e che avevo coltivato negli anni.
_Che bravo Gabriele- diceva la maestra- tu sarai un ottimo ragioniere- che negli anni sessanta equivaleva a darmi una carica importante. Buona donna la maestra Redini.
Andò così. Il mio compagno bravo impostava, io dietro di lui calcolavo (“le macchinette" non erano ammesse sia chiaro), e un terzo studente  faceva la riprova e verificava che tutto tornasse.
Gli altri  distribuivano il compito e sveltivano la manovra.
Dopo 4 ore, 22 studenti della V° Fisici A consegnavano tutti insieme un compito perfetto.
E’ andata proprio così. A un cenno dell’ultimo che aveva finito, ci siamo alzati tutti insieme e abbiamo consegnato gli elaborati, uno per uno. Nello stesso istante.
Un atto politico collettivo che suggellava cinque anni di lotte, come noi dicevamo, a scuola e nelle piazze.
Il nostro membro interno alla fine dell'esame, ci invitò tutti ad una cena a casa sua per festeggiare.
Ho ancora negli occhi la solidarietà e la bellezza di quella serata. “Altri tempi”.

Questa mattina iniziano gli esami di stato.
Sono con un mio collega nel laboratorio di informatica. Da poco sono arrivate le tracce per il tema di cultura generale. ll mio collega stacca la rete di collegamento ad Internet  per ordine della presidente di commissione. A tutti i ragazzi sono stati requisiti gli smart phone e tutte le diavolerie ora in voga.
Ognun per sé e dio per tutti, dice un motto che a me non è mai piaciuto.
Le tracce non sono male. Per la letteratura c’è Quasimodo.
Un’insegnante mi fa notare che nel programma si è arrivati a malapena al Verga, Un classico.
E poi la seconda prova e gli orali …
Senza strumenti infernali ( alfabeti di solitudine) i ragazzi si sentono nudi.
Nessuno sarebbe in grado di fare calcoli di un tempo, per esempio.
Ciascuno farà da sé e per sé. Il gruppo si sgranerà e la selezione sarà dura e senz’appello.
Uno per uno staccati sulla salita più dura.
Darwinismo sociale, di moda oggi.
Nessuna possibilità di un ‘uscita collettiva. La forbice della vita che si allarga anche in una classe fra compagni, che stanno insieme ma conoscono poco la solidarietà. Che non ricordano nemmeno il numero di telefono del compagno a memoria, perché è lì sul telefonino requisito.
Meritocrazia la chiamano, in realtà non è altro che selezione naturale. Chi avrà di più andrà, gli altri, nemmeno a lavorare come si diceva un tempo, perché il lavoro non c’è.
Grandi i gruppi che alzavano la testa tutti insieme..... che poi la vita ha certamente selezionato. Ma grande è l’idea di un ‘uscita collettiva" da un corso di studi che unisce per tutta la vita. Anche se c’è chi è diventato dirigente e chi no. Ma tutti hanno conosciuto la solidarietà e certamente sono uomini migliori, anche quelli al comando.
Grandi i gruppi che non piegavano la testa e che si ritenevano sconfitti solo se uno di loro falliva.
Demagogia , utopia, figlia di un mondo che è andato  ma che ho amato e non dimentico, come qualche bellissima adolescente di allora.
Questo esame a me vicino di stamani è dedicato a quella classe del ‘77 i cui suoi studenti avrà spersi nel mondo. Qualcuno ci ha pure lasciati …
E la dedica più grande va ai suoi maestri, uno dei quali “il migliore” oggi settantenne, dopo che ci ebbe invitati a cena, dopo l'esame, in quel luglio tumultuoso per le vicende politiche nazionali, subì anche una perquisizione della polizia politica.
Credevano, i servitori  dell’ordine, che in quell’appartamento venti giovani studenti rivoluzionari tramassero chissà cosa. In realtà la Digos trovò solo bottiglie di vino vuote e la carta dei regali che ci scambiammo alla fine di una stagione delle meraviglie.
E le meraviglie si portano nel cuore tutta la vita.