giovedì 14 agosto 2014

Il Nanni


Ho colto da lontano una polemica sulla partecipazione giusta o sbagliata di Renato Curcio ad una iniziativa culturale. Non ne conosco le ragioni e non sono in grado di giudicare.
Racconto invece la storia di una mia amicizia cara.
Non so quanto c'entri, ma essendo in questi giorni l'anniversario della morte di Giovanni Ciucci, lo faccio volentiri.

 Nanni era più grande di me.
 L'avevo conosciuto a Nodica in un garage dove c'era la sede di Lotta Continua, avevo 17 anni.
In quel fondo si riunivano un gruppetto di giovani di provincia dei comuni di Vecchiano e San Giuliano.  Molti di loro giovanissimi.
Estremisti di periferia, lontani dalla claustrofobia intellettuale cittadina e con la frenesia del dopo riunione, che molto spesso, nei mesi più caldi,   portava tutti al Principino in Versilia, dove il Pazzo, la notte, smessi i panni di barbiere rivoluzionario, faceva il dj e ci faceva entrare gratis.
Accio, il "segretario" già con passioni di poesia sperimentale, ci costruì anche una performance con tanto di disegni. L'estremista provinciale che sente odore di Versilia e a tarda notte dopo la riunione, e il volantinaggio sui problemi dell'Italsioux di Migliarino, ripone l'eskimo e indossa la camicia bianca, che tanto piace alle straniere, e si fa carpire dall'Aurelia fino al lungomare del Forte.
Ma Nanni era diverso, aveva già un lavoro, faceva il ferroviere e il sindacalista. E aveva moglie e figlioli.
Era bravo, determinato, pacato. Aveva testa sulle spalle.
Lotta continua nel '76 chiuse i battenti. Quelli dopo furono anni terribili e complicati."Ci sciogliemmo nel movimento". Frase passata alla storia ahimè!
Nanni fece in tempo anche a candidarsi in una lista della sinistra, alle elezioni pisane del 1980. Poi dopo poco sparì. Si diceva fosse entrato in clandestinità.
La mitica cellula dei ferrovieri delle BR salì ben presto alle cronache.
Erano tempi quelli, dove poteva accadere di tutto. E tutto accadde
Nessuna notizia di lui per lungo tempo e poca voglia di parlarne. In quella fase di gran confusione, eravamo impegnati a condannare il terrorismo, rivendicano con forza i nostri ideali; e quel fatto ci faceva male.  Mai avremmo pensato a quella scelta estrema.  Ma immaginavamo tutto…. come cantava Baglioni.
Poi il suo nome venne a galla.
Il rapimento Dozier (capo della Nato in Europa), uno degli ultimi colpi di coda delle Br. Savasta, la colonna veneta e il carcere duro.
Il pentimento e la legge sui pentiti.
Su quest'ultima questione in molti si divisero, anche fra compagni di strada.
Il pentitismo era una brutta bestia e chi odiava il terrorismo da sinistra, disprezzava ancor di più chi lo praticava, facendo nomi e raccontando brutte storie…
Pertini, alll'epoca,  "Presidente della Repubblica", nonostante la legge sui pentiti funzionasse, ebbe a dire che  i pentiti la Resistenza li fucilava.
 La notizia di “Giovanni Ciucci brigatista” apparsa su tutti i giornali, col tempo cadde nel dimenticatoio.
Di Nanni non si parlava quasi più, salvo per informarci in quale carcere speciale stesse e se fosse ancora vivo.  Non so se qualcuno abbia mai potuto vederlo. Forse i fratelli, che non l'hanno mai abbandonato.
Quando dopo tanto tempo ci riparlai, gli chiesi conto di tutto.
Lo feci una sera di molti anni dopo, in una casetta di un paesino che lo ospitava per la sua nuova vita. E lui mi spiegò. 
Non mi convinse fino in fondo, ma cominciammo a frequentarci con un ottica diversa. Come due amici che parlavano di futuro e con piacere.
Aveva scontato tutto quello che doveva.
Aveva pagato duramente Anche violente percosse e soprattutto un ostracismo veemente, da parte di alcune persone un tempo vicine, che lo inquietava molto, anche se ne parlava poco.
Fortunatamente per lui, non aveva fatto danni materiali, nel senso che non aveva mai sparato a nessuno e questo “tecnicamente” ai fini dlla condanna aveva contato; ma aveva buttato via la vita.
Famiglia perduta e coscienza da ricostruire.
Ma Nanni aveva un'anima. Appena reincontrato lo capii.
Stava facendo i conti col suo passato, un percorso doloroso e silente.
Alla fine degli anni ottanta era venuto ad abitare nella canonica del prete di Colognole, che era un suo compaesano di Nodica, e iniziò  a fare l'operaio in una cooperativa agricolo forestale.
Reinserimento sociale, si diceva allora.
Con umiltà, lontano da tutti.
E’ lì, in un paesino “lontano da dove” che abbiamo ricominciato a frequentarci. Prima annusandoci e poi con grande affetto. Quindi a parlare senza protezioni.
Rifletteva sugli anni alle spalle con pacatezza, si prendeva  colpe senza chiedere sconti alla coscienza, elaborava con serietà  ma guardava avanti. Voleva il futuro, come l'aria.
Sapeva bene che, agli occhi di chi il terrorismo l’aveva subito sulla pelle, non sarebbe mai stato riabilitato. E questo era un cruccio con cui avrebbe dovuto convivere tutta la vita che accettava. Avendo chiara la condanna che si portava dietro.
Una cosa che lo faceva stare bene era l'avere  recuperato il rapporto coi figli, lasciati in tenera età. Della moglie invece era diventato un amico, come amava dire. E questo lo rasserenava.
In pochi anni era diventato Direttore Generale dell'azienda dove lavorava, contribuendo al salto di qualità che ne ha fatta una delle più importanti della Toscana.
Sul lavoro era amato da tutti, e sapeva fare  "il capo" con grande fermezza e umanità..
Aveva anche riacquistato il diritto di voto ma non si interessava direttamente alla politica.
La guardava con distacco. Aveva già dato troppo. Gli era bastata, diceva scherzando.
Aiutava tutti quelli in disagio.
Nel periodo in cui sono stato all’AC di  San Giuliano, ha fatto lavorare molte persone in difficoltà che spesso gli segnalavo.
Era fiero di costruire lavoro per chi ne aveva bisogno. Era una sua forma di riscatto. Aiutare gli ultimi, sempre.
Era un uomo rinato che aveva imparato a sorridere di nuovo ed a riassaporare la felicità. Si capiva che stava bene e percepiva la stima degli altri.
Poi se è e andato, troppo presto, un giorno d'agosto, dopo una malattia che l'aveva debilitato ma non sopraffatto.
Ho ancora davanti l'immagine gioiosa nella sua ultima casa di Avane, che stringe fra le braccia la piccolissima nipote, sapendo già da tempo di essere malato.
A sessantanni aveva "ricoltivato" l'amore, contraccambiato, per una grande donna, con la passione di un adolescente; e quella è stato la sua ancora finale.
Poco prima che morisse sentii il bisogno di regalargli un libro la cui dedica diceva  “ai barricadieri di sempre”. Lo guardo e mi disse- “Prendimi anche per il culo...”
Questo era Nanni. Uno che aveva riconvertito in positivo la sua passioni estreme senza perdere  l'impegno per la giustizia sociale e ritrovando il sorriso di un tempo. Tutto attraverso un percorso dolorosissimo.
Un uomo tenace fino all’ultimo. Chiunque  nell'azienda, che ha contribuito a far crescere, sente pronunciare il suo nome, si mette sull’attenti.
Penso che ci voglia misura oggi nel giudicare chi in passato ha avuto percorsi difficili.
Pagando di persona e scontando fino in fondo la pena inflitta.
Questo certo non significa restituire il dolore a chi all'epoca l'ha subito, che ha tutto il diritto di non perdonare. Ci mancherebbe
Credo però che in generale una società matura debba fare i conti con il passato chiudendo una fase della storia che ormai abbiamo alle spalle. Se così si ragiona, si fa un buon servizio al futuro.
Non farlo alimenta solo inquietudine.