Nel luglio del 1977 avevo diciannove anni.
Un anno difficile il settantasette dal punto di vista
politico per un giovane estremista com’ero io allora.
Lotta Continua che mi aveva svezzato, aveva chiuso i battenti
ed io non avevo inseguito i suoi strascichi che non mi piacevano più.
Molti giovani come me si trovarono orfani all’improvviso.
Sofri a Rimini l’anno prima ci aveva detto chiaro “Non
ridere nè piangere ma capire …”
Mica era facile ed io capivo sempre meno.
Il Movimento ingrossava e sbandava tutte le mattine.
Prendeva piede l’autonomia operaia e le P38 avevano fatto la loro comparsa
alle manifestazioni.
La mia classe scolastica, molto politicizzata, in quel clima
demenziale, aveva anche subito una perquisizione.
Messa a soqquadro di un armadietto dentro il quale pensavano
ci fosse chissà cosa e invece trovarono solo cartelline coi disegni.
Quel clima però era torrido e chiunque frequentasse i
movimenti… era sospettato…
Dopo quel fatto increscioso con scuse, ma che lasciò il segno su noi ragazzotti con
la rivoluzione nel capo, decidemmo tutti insieme, su suggerimento di un
professore che fino ad allora ci aveva accompagnato nelle “battaglie”, di
staccare un po’ per dedicarci allo studio per gli esami di stato. In fondo
mancavano tre mesi.
Per cui via dalle manifestazioni e dalle riunioni serali.
Studiare a testa bassa quindi fu una scelta indotta dagli
eventi .
Per ritrovare serenità interiore, calmare il senso di colpa
dell’aver studiato poco e liberare la testa dalla politica per un po' di
tempo.
L’estremismo che amavo come forma estetica di protesta,
rimasto nelle mani della violenza spesso fine a sé stessa, mi inorridiva.
Bisognava staccare e lo feci insieme alla mia classe. Ai
miei fratelli.
L’obiettivo dell’esame di stato fu una salvezza. Studiavo per diventare perito fisico industriale.
Cinque anni di studi intensi e carichi di passione con
insegnanti trentenni e molto politicizzati, figli di quel periodo anche loro.
Fratelli maggiori.
Alla fisica e alla chimica, alternavo Brecht, Gramsci,
Marx, la poesia e il primo ambientalismo di Commoner e Marcello
Cini.
I nostri insegnati volevano consegnarci al futuro colti e
pronti.
Avevo rifiutato il suggerimento dei miei genitori di
iscrivermi al liceo, per seguire il mio cuore. Andare a scuola da sano
provinciale con i miei compagni delle medie, che avevano tutti optato per una
scuola tecnica.
Fu la mia fortuna. Anche se non sono in grado (ahimè) di fare citazioni latine.
In quella scuola e con quei professori ho cambiato la mia
vita.
Ancora oggi quando incontro i miei compagni di classe di
allora è festa.
All’esame di stato portai italiano come prima materia
(l’unico della classe)
Studiai Leopardi come si può studiare al liceo classico
(all’università poi mi iscrissi a lettere).
I miei amici universitari compagni di militanza, mi
iniziarono ai saggi di Luporini e Timpanaro e mi si aprì un mondo.
Il leopardi progressivo e il marx leopardismo, mi
appassionaro allo studio con atteggiamento militante.
Sognavo la poesia e la rivoluzione e la sera leggevo Maijakovski
e Pasolini, alternato a partite di biliardo e briscola e scopa alla Botteghina, il bar di casa mia.
Lo scritto di italiano dell’esame era una traccia sulla Costituzione.
Feci un tema ideologico, che non rifarei mai. Criticai da estremista tutto il
criticabile. Non salvai nessuno. Una sciocca ingenuità giovanile. Alcuni
passaggi furono segnati di blu.
Il professore di lettere, un esterno che veniva da Pontedera
e che dopo scoprii essere il segretario
democristiano della DC del suo paese, mi
tirò le orecchie dicendomi che quello che avevo scritto era al limite
del codice penale. Esagerava lo so, ma non gli piacqui per niente. Mi dette sei
per la forma, disse a denti stretti.
Fu onesto nel giudicare il tema, ma io scrivevo benino e lui
incalzato dal mio membro interno, che si sentiva quasi in colpa per avermi cresciuto
con quelle idee e senza freni, non poté infierire più
di tanto.
Ma all’orale si rifece.
Mise subito da parte la mia tesina su Leopardi. Liquidò in
una battuta lo studio interdisciplinare su Seveso. Avevo criticato la frenesia
capitalistica del fare profitti a scapito della sicurezza degli impianti
chimici, e il disastro della Icmesa in Brianza ne era l’esempio lampante.
Mi chiese Manzoni. Mi massacrò sul concetto di Provvidenza;
poi mi incalzò su marzo 1821 accanendosi sul significato di un verso che io non
riuscivo “a decifrare”.
Mi strapazzò sadicamente, con metodo.
Io amavo e amo la letteratura dell’ottocento e mi difesi coi
denti, ma capitolai..
Avrei voluto recitargli "I sepolcri a memoria" a quel
sagrestano imbiancato…
Mi congedò con un sorrisetto quasi a dire- Ma dove vuoi
andare … bimbo presuntuososo!”
Non gli piacqui e mi dette l’insufficienza.
L’altra materia tecnica, Impianti chimici, la passai in
scioltezza.
Alla fine presi un voto dignitoso. Speravo di più, ma non ne
feci un dramma.
Era la metà di luglio e mi si apriva un'estate di viaggi.
Era la metà di luglio e mi si apriva un'estate di viaggi.
Ma la parte delle meraviglie del mio (nostro) esame, si era
consumata pochi giorni prima alla
seconda prova scritta. Elettrotecnica.
Lo studio di un motore asincrono.
Io non ci capivo niente. La maggior parte della classe era
terrorizzata da questo scritto tignoso e carico di insidie. Una divisione
sbagliata ti portava di colpo da un’altra parte.
Come sbagliare treno di notte.
Come sbagliare treno di notte.
Ma come in tutte le storie, un mago c’era. E veniva da San
Giovanni alla Vena.
Lui sapeva tutto e aveva una testa con una logica stringente
che non ho più ritrovato in nessuno della mia generazione. Oggi è un
dirigente a Milano in una azienda importante.
Ho ritrovato solo dopo anni la sua velocità d’azione. Ma ho
dovuto aspettare queste nuove generazione
figlie di un altro mondo.
Ma lui, il mio caro compagno di classe era un pioniere del
ragionamento tecnico e gli veniva così... senza sforzi.
E poi aveva l’arte innata di aiutare tutti e la modestia dei grandi che dà forza e
non umilia.
Ricordo ancora il suo motto, nato all’Ortaccio, il circolo Arci di di Vicopisano,
quando aiutava qualcuno prima di un interrogazione- "Vai con calmezza e
disinvoltazione”. Mitico. E si sedeva nel primo banco, pronto a suggerire
qualcosa, se ne avevi bisogno.
Il compito di elettrotecnica presupponeva oltre ad una impostazione teorica
e il suo sviluppo passaggio per passaggio che era l’anima dell’elaborato, anche
una serie infinita di calcoli con divisioni a tre cifre e con la virgola, che erano
fondamentali. Un errore di calcolo appunto poteva portarti lontano dal
risultato. E se commettevi l’errore eri finito.
Si parlava di corrente e un motore o si accende o ciccia.
Ma io ero abilissimo a far di conto. Ed è una caratteristica
che avevo scoperto a quattro cinque anni e che avevo coltivato negli anni.
_Che bravo Gabriele- diceva la maestra- tu sarai un ottimo
ragioniere- che negli anni sessanta equivaleva a darmi una carica importante. Buona donna la maestra Redini.
Andò così. Il mio compagno bravo impostava, io dietro di lui
calcolavo (“le macchinette" non erano ammesse sia chiaro), e un terzo studente faceva la riprova e verificava che tutto
tornasse.
Gli altri distribuivano
il compito e sveltivano la manovra.
Dopo 4 ore, 22 studenti della V° Fisici A consegnavano tutti
insieme un compito perfetto.
E’ andata proprio così. A un cenno dell’ultimo che aveva
finito, ci siamo alzati tutti insieme e abbiamo consegnato gli elaborati, uno
per uno. Nello stesso istante.
Un atto politico collettivo che suggellava cinque anni di lotte,
come noi dicevamo, a scuola e nelle piazze.
Il nostro membro interno alla fine dell'esame, ci invitò tutti ad
una cena a casa sua per festeggiare.
Ho ancora negli occhi la solidarietà e la bellezza di quella
serata. “Altri tempi”.
Questa mattina iniziano gli esami di stato.
Sono con un mio collega nel laboratorio di informatica. Da
poco sono arrivate le tracce per il tema di cultura generale. ll mio collega
stacca la rete di collegamento ad Internet per ordine della presidente di commissione. A
tutti i ragazzi sono stati requisiti gli smart phone e tutte le diavolerie ora in voga.
Ognun per sé e dio per tutti, dice un motto che a me non è
mai piaciuto.
Le tracce non sono male. Per la letteratura c’è Quasimodo.
Un’insegnante mi fa notare che nel programma si è arrivati a
malapena al Verga, Un classico.
E poi la seconda prova e gli orali …
Senza strumenti infernali ( alfabeti di solitudine) i
ragazzi si sentono nudi.
Nessuno sarebbe in grado di fare calcoli di un tempo, per esempio.
Ciascuno farà da sé e per sé. Il gruppo si sgranerà e la
selezione sarà dura e senz’appello.
Uno per uno staccati sulla salita più dura.
Uno per uno staccati sulla salita più dura.
Darwinismo sociale, di moda oggi.
Nessuna possibilità di un ‘uscita collettiva. La forbice
della vita che si allarga anche in una classe fra compagni, che stanno insieme
ma conoscono poco la solidarietà. Che non ricordano nemmeno il numero di
telefono del compagno a memoria, perché è lì sul telefonino requisito.
Meritocrazia la chiamano, in realtà non è altro che
selezione naturale. Chi avrà di più andrà, gli altri, nemmeno a lavorare come
si diceva un tempo, perché il lavoro non c’è.
Grandi i gruppi che alzavano la testa tutti insieme..... che poi
la vita ha certamente selezionato. Ma grande è l’idea di un ‘uscita collettiva"
da un corso di studi che unisce per tutta la vita. Anche se c’è chi è diventato
dirigente e chi no. Ma tutti hanno conosciuto la solidarietà e certamente sono
uomini migliori, anche quelli al comando.
Grandi i gruppi che non piegavano la testa e che si ritenevano
sconfitti solo se uno di loro falliva.
Demagogia , utopia, figlia di un mondo che è andato ma che ho amato e non dimentico, come qualche
bellissima adolescente di allora.
Questo esame a me vicino di stamani è dedicato a quella
classe del ‘77 i cui suoi studenti avrà spersi nel mondo. Qualcuno ci ha pure
lasciati …
E la dedica più grande va ai suoi maestri, uno dei quali “il
migliore” oggi settantenne, dopo che ci ebbe invitati a cena, dopo l'esame, in quel luglio
tumultuoso per le vicende politiche nazionali, subì anche una perquisizione
della polizia politica.
Credevano, i servitori
dell’ordine, che in quell’appartamento venti giovani studenti
rivoluzionari tramassero chissà cosa. In realtà la Digos trovò solo bottiglie
di vino vuote e la carta dei regali che ci scambiammo alla fine di una stagione
delle meraviglie.
E le meraviglie si portano nel cuore tutta la vita.